CSI-CCCP-PGR

I CCCP nascono nel 1982 a Berlino, dall’incontro di Giovanni Lindo Ferretti (voce) e Massimo Zamboni (chitarre). I due si muniscono di drum machine e suonano in giro per la Germania, rifacendosi soprattutto al punk espressionista di Einsturzende Neubauten. Il ritorno in Italia porta l’illuminazione. La cultura popolare emilano-romagnola può essere filtrata da etica ed estetica punk.  Del resto, anche il nome CCCP non inneggia al comunismo sovietico ma ne celebra la pronuncia storpiata da un ipotetico militante provinciale. Quasi anni 50. Quasi Guareschi. I due mettono in piedi degli show, ma l’impatto col pubblico non è dei migliori: la complessità e il distacco dei testi e la mancanza di linee melodiche non aiutano. L’idea allora è arricchire lo show con situazioni e personaggi. Così Danilo Fatur e Antonella “Annarella” Giudici si uniscono alla band. Ora la formazione è al completo: questa è la vera nascita dei CCCP.

Nel 1984 esce il primo Ep Ortodossia. E’ tutto punk e filastrocche elementari urlate su chitarre spigolose a ritmo forsennato: “Spara Yuri spara, spera Yuri spera” e “Islam punk, Islam punk, punk Islam e Islam punk” sono i vagiti di questa italianissima creatura che nella sua necessaria violenza ricorda più gli MC5 o gli Stooges che le band inglesi del ’77.

A Ortodossia segue Ortodossia II che aggiunge a “Spara Yuri spara”, “Islam punk” e “Live in Punkow”, tutte già presenti nel primo Ep, “Mi ami” che resterà una delle canzoni simbolo della band, e tutti i ragazzi dell’85 ci si possono riconoscere. E’ quello che non si era (forse) mai visto in Italia: una band che non fosse una scopiazzatura di modelli inglesi e americani.

Sempre nel 1984 arriva l’album Compagni, cittadini, fratelli, partigiani, che raccoglie i pezzi già presenti sugli Ep e un pugno di altre canzoni. Il suono è casereccio, rozzo e povero, ma dentro ci sono energia da vendere e l’esatto contrario dell’energia: canzoni annichilite e annichilenti come la lunga “Emilia paranoica”, uno dei capolavori della band, in cui una stasi pesante e obesa (una batteria elettronica in quattro e lentissima, accoppiata agli accordi di chitarra in sincrono con il declamato sillabato di Ferretti) improvvisamente inciampa per prendere velocità, come una caduta dalle scale, e poi si blocca immobile per riprendere l’ossessiva lentezza dell’inizio. C’è “Morire”, con il suo testo reducistico ed emozionato, c’è “Militanz” a mille all’ora.

Un anno dopo esce1964-1985. Affinità-Divergenze frail compagno Togliatti e noiIl disco si apre con una dichiarazione di identità, un urlo “CCCP” e via, in un mare di feedback, una batteria elettronica che è una pulsazione continua e le parole che sono quelle che non senti altrove “fedeli alla linea, anche quando la linea non c’è, quando l’imperatore è malato, quando muore o è dubbioso”. Il disco ripropone “Morire” con il suo arpeggio sospeso e la voce lontanissima che declama “Esiste una sconfitta pari al venire corroso che non è mia ma dell’epoca in cui vivo” e ci sono ancora “Emilia paranoica” e “Mi ami”. Tra i brani nuovi, svetta “Curami”, con il suo tipico giro punk , “Trafitto”, “Noia”, cupa e depressa come da titolo; “Allarme”, inquieto e improbabile tango dai sussulti prepotentemente rock; Ma c’è soprattutto “Io sto bene”. Questa è la canzone che li identificherà, perché in questo lieve accelerando in quattro quarti c’è tutta la provincia italiana e tutta il senso di vuoto degli anni Ottanta (“Non studio, non lavoro, non guardo la TV, non vado al cinema, non faccio sport”…).

Passano due anni ed esce il singolo “Oh battagliero” (1987), con il suo andamento tangheggiante e poi, nello stesso anno, il primo album per una major, la Virgin. Si tratta di Socialismo e barbarie. L’apertura del disco è affidata alla prima cover della loro carriera: “A Ja Ljublju SSSR”, ovvero l’inno sovietico con un testo epico originale di Ferretti. Nel disco, la violenza punk si smorza contro l’apparire di un Oriente di facciata, da musicassette d’autogrill. E così troviamo “Hong Kong”, con il suo gocciolare di chitarre in un vuoto pneumatico, “Inch’allah ça va”, con un cantato in francese, e “Radio Kabul”, che riprende i tempi e le movenze delle danze sufi.  Il disco suona tutto sommato  bene e riesce a stare in equilibrio fra impulsi nativi e nuove fascinazioni.

Il passo seguente è spiazzante, un singolo con Amanda Lear, una cover di “Tomorrow”… Poi viene il 1989 con il nuovo disco Canzoni, preghiere e danze del II millennio – sezione Europa. Più elettronica e meno distorsione: un disco di techno pop. Tutta la forza del gruppo si stempera fra tastierine e scale arabeggianti, anche se l’inizio è affidato alla poco duttile voce di Ferretti che canta da solo una canzone tradizionale degli alpini “Il testamento del capitano”. Il disco in sé non è poi brutto, però sembra quasi uno scherzo, come il maccheronico italiano di “Uligani dangereux”, la sinceramente spiacevole “Vota Fatur”, blaterata dallo stesso Fatur, o la inutile “Reclame”,  Gli episodi meglio riusciti sono proprio le canzoni che tentano la via di una epica techno-pop: “B.b.b.”, “Svegliami” e “Roco roco rosso”.

Il gruppo sembra dirigersi verso la sua fine, almeno per come lo avevamo conosciuto. La svolta avviene durante un tour in Unione Sovietica, da  dove nasce l’ultimo disco dei CCCP, quello della svolta e della fine. Epica, Etica, Etnica, Pathos nasce infatti dall’incontro di Ferretti e Zamboni con Francesco Magnelli, Ringo De Palma e Gianni Maroccolo, rispettivamente tastiere, batteria e basso degli allora morenti Litfiba, e da una nuova idea della registrazione: andarsene tutti insieme in campagna vivendo in comune e registrare tutto live.

Il disco è qualcosa di totalmente nuovo per i CCCP. C’è una diversa competenza strumentale e non ci sono più i sapori di plastica del disco precedente. La violenza e la rudezza dei primi dischi sembrano essersi sì stemperate, ma anche compattate in un suono meno selvaggio e straziato, ma austero e solido. Nel disco vanno ricordate l’infinita cavalcata di “Maciste contro tutti” e il canone “Annarella” come testamento del gruppo – “Lasciami qui lasciami stare lasciami così, non dire una parola che non sia d’amore” – che, sentito dal più devastante e devastato gruppo punk italiano, sinceramente commuove.

Così nel 1990 il gruppo, a cui chiunque oggi suoni in Italia deve almeno un piccolo grazie, chiude la sua esistenza. Ci sarà una lunga pausa, poi gli stessi attori di questo ultimo disco si reincontreranno e ripartiranno insieme con il progetto CSI.

I CCCP si trasformano in CSI (Consorzio Suonatori Indipendenti) nel 1992, in un concerto a Prato. L’anno seguente (1993) esce infattiKo’ De Mondo.E’ il vero disco di esordio per la nuova sigla. In formazione entrano stabilmente Gianni Maroccolo, Giorgio Canali, Francesco Magnelli e Ginevra di Marco (cori), mentre abbandonano la compagnia Fatur e Annarella.Dagli ultimi CCCP mutua una certa severa austerità e la modalità di lavoro: tutti insieme in campagna a far crescere suoni e idee. Il disco suona molto asciutto, gli arrangiamenti sono dosati, le chitarre di Zamboni sono molto ordinate e quelle di Canali riscoprono qua e là un uso primitivo del feedback, lontano dal grunge, dalla no wave o dai Sonic Youth, e vicino ai gruppi dei tardi Sessanta, che resta sempre in secondo piano. Ferretti unisce misticismo e pensiero femminile a uno sguardo che dalla provincia italiana abbraccia l’Europa. “A tratti” apre il disco con potenza ; “Del mondo” culla con il piano e taglia con le chitarre una magica amarezza; “Fuochi nella notte” recupera un sapore di ballata popolare, mentre l’ipnotica “In viaggio” è quasi rock da autostrada.Il passo successivo è un benvenuto da parte del mainstream pop-rock: un live acustico (come di moda al tempo) da Mtv:In Quiete(1994). Nel disco brillano vecchie gemme dei CCCP che in questa forza, controllata dalla sottile elettricità, vengono fuori con una indiscussa eleganza di scrittura. E così il live si ricorda soprattutto per il tango di “Allarme”, l’accatastarsi di percussioni e distorsioni di “Stati di Agitazione” e la lineare e danzante “Io Sto BeneBisogna aspettare il 1996 per avere il nuovo disco,Linea Gotica. Dedicato al mito della Resistenza (in particolare quella italiana durante la Seconda guerra mondiale e quella bosniaca di Sarajevo), il disco presenta una ricerca quasi disperata dell’intimità. In alcuni frangenti il disco raggiunge una grande intensità, e questo proprio nei momenti in cui questo lungo mantra si avvolge su se stesso prendendo respiro, ad esempio nell’intrico di archi e chitarre in tempo ternario della splendida “Cupe Vampe” (sull’assedio di Sarajevo) o alla fine del disco (“Irata”), nel moto circolare della frase pasoliniana “ad onta di ogni strenua decisione o voto contrario mi trovo imbarazzato sorpreso ferito per un’irata sensazione di peggioramento di cui non so parlare né so fare domande”. Da segnalare anche la cupa cover di “E ti vengo a cercare”, cantata insieme all’autore, Franco Battiato, e l’ipnotica “Esco”.La band, che ormai ha in pianta stabile anche Ginevra di Marco e Francesco Magnelli, parte per un viaggio in Oriente e ne ritorna per un nuovo album. Si tratta diTabula Rasa Elettrificata, (1997). Il disco esce in estate e questo fa sì che nel vuoto di uscite circostante, vendendo poco più dei due precedenti, catapulti i CSI in testa alle classifiche italiane, con oltre 80.000 copie vendute. Nel disco spiccano “Forma e sostanza”, molto trascinante anche se chiaramente orientato alle classifiche di vendita, e l’orientaleggiante “Ongii”, che concede forse i momenti più spirituali dell’album.Sembra una strada da cui è difficile uscire e invece nel 1998 esceLa terra, la guerra, una questione privataconcerto in onore e a memoria di Beppe Fenoglio, suonato e registrato ad Alba in una chiesa, è un disco splendido, una gemma purissima e tagliente. A questo punto il gruppo si spacca fra chi prende impegni per il futuro sempre più stringenti, nuovi dischi, nuovi concerti, libri, e chi vuole un tempo diverso e forse motivazioni diverse per continuare a suonare. Zamboni e Ferretti si lasciano male. Ora i CCCP sono finiti sul serio, usciranno ancora due live postumi che nulla aggiungeranno e nulla toglieranno a quanto fatto dal gruppo.