MELODRAMMI

Oltre ai Kolossal, altrettanto successo, perlomeno in Italia, riscossero i melodrammi, le storie d’amore che nascevano dall’incrocio fra tardo romanticismo, verismo borghese e decadentismo dannunziano e che univano, su soggetti per lo più famosi (dalla Signora delle camelie alla Anna Karenina), il passionale e il mondano (sentimentalismo e lusso) lanciando le dive fatali come Francesca Bertini e Lyda Borelli, attrici bellissime e ambiziose, drammatiche e sensuali fino al ridicolo, modellate sulla falsariga della grande Eleonora Duse e Sarah Bernhardt. La loro rivalità stuzzicò il pubblico più di quanto  affascinassero le vicende dei loro film.La presenza di D’Annunzio sulla scena culturale italiana dei primi decenni del secolo condiziona, direttamente o indirettamente, lo sviluppo del cinema, e anche il divismo femminile è permeato di caratteri dannunziani riconducibili al mito della donna fatale e impareggiabile di cui il poeta aveva fornito una sorta di prototipo con Elena Muti, protagonista del romanzo Il piacere (1889).   Il panorama del divismo femminile italiano è fitto di nomi e di figure di rilievo: oltre alle gia citate Bertini e Borelli, si ricordano anche Pina Menichelli, Italia Almirante, Diana Karenne, Rina De Liguoro, Soava Gallone e, non ultima anche se con un solo film all’attivo (Cenere, 1917), Eleonora Duse, protagonista assoluta della scena teatrale che si lascia tentare sul finire della sua carriera dal cinema. Tra queste,Lyda Borelli è certamente il personaggio di maggior spicco, quello che ha comunque lasciato segni più vistosi nella storia del costume, anche se la sua carriera è durata solo cinque anni (dal 1913, quando debutta con Ma l’amor mio non nuore, considerato il capolavoro di questo genere, al ’18, quando abbandona lo schermo dopo il matrimonio con il conte Cini). Per dare un’idea della notorietà di questa diva, basti ricordare che “borellismo” e “borelleggiare” erano termini entrati nei dizionari della lingua italiana. La tecnica di recitazione della Borelli, era basata essenzialmente sulla capacità di produrre attraverso il corpo i segni di una interiorità tormentata, di imprimere ai propri gesti ondulazioni e traiettorie che possono far pensare al linearismo della pittura simbolista. Tuttavia, come per ogni film dell’epoca del muto, occorre interpretare la gestualità secondo il codice recitativo dell’epoca che ovviamente non è quello realistico del cinema sonoro. Ciò vale anche per i film di impostazione realista o meglio “verista”, che non mancano. Ai canoni del verismo si adattano, ad esempio, alcune interpretazioni dell’altra grande diva del cinema muto italiano, Francesca Bertini  che ebbe un temperamento più versatile, come dimostra la sua capacità di passare dalla rarefattae lunare figura di Pierrot in Histoire d’un Pierrot (1914) di Baldassarre Negroni alla passionale popolana di Assunta Spina (1915) di Gustavo Serena. Anche la Bertini lasciò ben presto il set per il matrimonio, anche se tornerà poi sporadicamente a girare qualche film.Al fianco del melodramma  si fa strada il filone realistico, nel quale si innestano la letteratura verista e la narrativa meridionale. Di questo filone fanno parte film come Sperduti nel buio (1914),dramma verista incentrato sull’amore di un cieco per una giovane della malavita e considerato un antenato del neorealismo e Cenere (1916), tratto dalle pagine di Grazia Deledda e interpretato daEleonora Duse