Un maremoto può essere provocato da un terremoto con epicentro in corrispondenza del fondo marino o della costa, da eruzioni vulcaniche, dalla propagazione nel mare di onde elastiche formatesi in corrispondenza dei continenti. La velocità di propagazione delle onde di compressione dipende dalla lunghezza d’onda e dalla profondità del mare: è di circa 100 m/s per una profondità di 1.000 m. I maremoti non vengono avvertiti in mare aperto, ma in vicinanza della costa, dove il fondo si alza, danno origine a onde alte anche 20 o 30 m che invadendo la terraferma possono provocare gravi danni. Sulla costa possono abbattersi più onde separate da intervalli di qualche minuto, e talvolta possono essere precedute da un ritiro prolungato delle acque. Le onde provocate dai maremoti sono conosciute col nome giapponese di tsunami
I più disastrosi maremoti furono quelli di Lisbona del 1755, con onde alte fino a 12 m, di Miyako (Giappone) nel 1896, con onde di 28 m, di Messina del 1908, con onde di 8 m, di Atami nella baia di Sagami (Giappone) nel 1923, con onde di 11 m.
La foto rappresenta lo tsunami (maremoto) prodotto nelle isole Aleutine, Alaska, il primo Aprile 1946, che si abbatte su una spiaggia dell’isola di Hawaii, a circa 3.800 Km di distanza dal luogo di origine. Le onde catastrofiche colpirono le isole Hawaii rapidamente ed inaspettatamente; la massima altezza delle onde fu di 8 m ad Hilo e raggiunse i 12 m in altre zone dell’isola di Hawaii. Il 26 dicembre del 2005 al largo di Sumatra, un violento sisma ha generato un ondata di maremoto che ha provocato oltre 200000 morti in Indonesia, Thainlandia, Sri lanka e India.
L‘Italia è, infatti, zona potenzialmente soggetta agli tsunami, non fosse altro che per la sua posizione peninsulare e per l’alta sismicità di alcune regioni.
Gli episodi di tsunami più imponenti, hanno colpito l’Italia meridionale, specialmente le coste pugliesi, siciliane e calabresi.